Pensatori del Risorgimento a colloquio con Kant

di Livio Ghelli

Due cose hanno soddisfatto la mia mente con nuova e crescente ammirazione e soggezione e hanno occupato persistentemente il mio pensiero: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me
Epitaffio sulla tomba di Kant a Kaliningrad (già Königsberg)

Königsberg, letteralmente: Monte del Re, è la città dove visse e morì Immanuel Kant (1724-1804), il più grande rappresentante tedesco dell’Illuminismo, autore di una rivoluzione filosofica che viviamo tuttora. Oggi la città fa parte della Federazione Russa e si chiama Kaliningrad.
Pescocostanzo invece è un borgo della Maiella. Sulla facciata di una casa una lapide ricorda che vi nacque e visse lunghi periodi Ottavio Colecchi, filosofo e matematico, primo interprete italiano del pensiero di Kant.
Ottavio Colecchi (1773-1847) è poco ricordato, ma fu una delle menti matematiche e filosofiche più straordinarie della fase pre-risorgimentale e del primo risorgimento, apertissimo a quanto di più avanzato, in campo scientifico e filosofico, germogliava sulla scena mondiale, tradusse e commentò splendidamente Kant, fra i primi in Italia discusse appassionatamente l’opera dei grandi esponenti dell’idealismo tedesco, Fichte, Shelling ed Hegel, ma soprattutto fu maestro di almeno due generazioni di giovani meridionali, maestro di libertà e di rigore scientifico e morale. Avendo abbandonato l’abito domenicano nel 1809, dopo la Restaurazione fu malvisto dall’autorità borbonica come ex-frate in odore di agnosticismo e di liberalismo; controllato dalla polizia per le sue opinioni liberali, non poteva aspirare ad una cattedra universitaria nel Regno borbonico: insegnò filosofia e matematica all’estero, in Svezia e a San Pietroburgo, dopo il 1815 fu precettore dei figli dello zar per un paio d’anni, al ritorno soggiornò un anno a Königsberg, dove Kant era morto pochi anni prima.
L’incontro con la filosofia kantiana fu per Colecchi un’illuminazione: impadronitosi perfettamente del tedesco tradusse in lingua italiana e commentò le opere del grande filosofo. Colecchi, col suo lavoro, costruì un solido ponte tra l’Italia e la filosofia europea contemporanea: in Abruzzo, da giovane frate, era riuscito ad evadere dalle carceri della mente dove le gerarchie ecclesiastiche volevano obbligarlo, ed era incorso nei rigori dell’Inquisizione. Proprio per questo non amava le morali rivelate, non credeva che l’obbedienza cieca fosse una virtù, e fu pronto ad accogliere il messaggio di Kant, di emancipazione attraverso la coscienza.
A Napoli attorno al 1820, condivise la sorte comune tra i migliori tra gli intellettuali e scienziati napoletani, tenne corsi di insegnamento privati e quasi clandestini; ma se ciò lo costringeva ad un tenore di vita abbastanza precario, gli permetteva però una libertà didattica impensabile in una pubblica facoltà.
A partire dagli anni ’20 collaborò con le riviste che a Napoli, in vivace scambio culturale, trattavano di filosofia, economia, scienza e politica, e regolarmente venivano chiuse d’autorità, assieme a Galluppi, Bianchini, de Augustinis… Tra i molti suoi uditori e allievi c’erano i fratelli Bertrando e Silvio Spaventa, Luigi Settembrini, Francesco De Sanctis e moltissimi altri.
Morì il 25 agosto 1847, pochi mesi prima dei moti del ’48. La polizia borbonica, che lo aveva vigilato in vita, vietò ai giornali di dare la notizia della sua morte, che volò comunque di bocca in bocca. Scolari e amici, tra cui i fratelli Spaventa, trassero occasione dal funerale per una dimostrazione di significato politico.
Nel mondo i pensatori che, assieme alla loro indagine filosofica, hanno di pari passo portato avanti ricerche avanzate di matematica e fisica, da Pitagora a Bertrand Russell, passando per Galileo, Cartesio, Pascal, Leibniz ed altri non così noti, come appunto il Colecchi, sono meno numerosi rispetto ai filosofi con una formazione prevalentemente umanistica (in questo caso il termine forse non è del tutto appropriato, mi riferisco a una formazione teologica, storica, giuridica, psicologica, estetica, che usa soprattutto questi strumenti e che si muove su questi binari).
Ma applicare il metodo matematico alla filosofia, soprattutto all’etica, penso all’Ethica more geometrico demonstrata di Baruch Spinoza, nella seconda metà del Seicento, fu lavoro geniale e generoso di chi aveva sotto gli occhi le tragedie causate da una visione teologica, assoluta e autoritaria della realtà.
Spinoza volle applicare all’etica un metodo matematico per liberarla dalle verità rivelate e dalle morali codificate, che in ambienti religiosi diversissimi, nell’Europa cattolica dominata dall’Inquisizione e nella Ginevra di Calvino, nel Massachusset puritano scatenato nella caccia alle streghe come nella Sinagoga di Amsterdam, agivano in modo sorprendentemente simile, distruggendo spietatamente chi aveva il coraggio di esporre i propri dubbi e voleva capire.
Senza la matematica-etica di Spinoza anche l’etica di Kant, l’idealismo tedesco, le lotte dell’Ottocento per la libertà e l’indipendenza, la resistenza al nazismo avrebbero seguìto percorsi diversi, in qualche modo meno forti e maturi.
Perché certe idee straordinarie filtrano comunque, vengono interiorizzate e rielaborate da milioni di persone che a volte nemmeno conoscono il nome e l’esistenza di chi le ha prodotte, ma che un giorno, in nome di queste idee, sapranno battersi per la libertà, la giustizia e l’uguaglianza.
Una rivoluzione non nasce senza una nuova filosofia; senza una riflessione che ponga le basi di un mondo nuovo e di un’etica nuova. Eppure gran parte degli storici, oggi purtroppo anche degli storici del Risorgimento, è portata a dare un peso importante, nella loro indagine, a eventi e dati statistici riguardanti la cronaca, l’economia, i rapporti diplomatici, il costume sociale e l’arte, e questo è giusto, ma analizzano ben poco le idee scientifiche e filosofiche alla base dei fatti che, da storici, stanno cercando di ricostruire.
E i pensatori del Risorgimento che tradussero, commentarono e seppero sviluppare un fertile dialogo con la filosofia e la scienza contemporanee non devono assolutamente essere dimenticati. Perché il Pensiero è Azione.